A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Settima parte

Rassegna stampa nazionale

Articolo 17

VENEZIA NOTTE
giovedì 22 gennaio 1970

FORSE IL «FUSINA» NON LANCIÒ L’S.O.S.
ALTRE DUE SALME RIPESCATE A CAPO SANDALO

Giunge oggi a Venezia il corpo del capitano Giorgio Renier, direttore di macchina
Prosegue l’inchiesta sul naufragio

La Notte, nostro servizio
Cagliari, 22 gennaio

Altre due salme di appartenenti all’equipaggio del Cargo «Fusina» naufragato misteriosamente venerdì notte al largo di Capo Sandalo, sono state ripescate questa notte; una è stata trovata da un pescatore nella «grotta delle oche», lungo la costa adiacente a Carloforte; l’altra avvistata in mare da una motovedetta della Capitaneria di Porto di Cagliari (uno dei numerosi mezzi navali ed aerei che sono stati mobilitati fin da domenica pomeriggio, dopo l’allucinante racconto dell’unico superstite, il cameriere Ugo Freguia) è stata ricuperata dai marinai della motovedetta del piccolo natante.

Sono state portate ambedue a terra e pietosamente composte nella camera mortuaria di Carloforte.

Una delle salme, rinvenuta nella «grotta delle oche» è stata identificata per quella del marinaio Domenico Bonaldo di 37 anni; l’altra è ancora sconosciuta.

Si apprende, intanto, che è stata identificata la salma di Giordano Voltolina (61 anni) che era stata portata a Cagliari e di cui, fino ad oggi, si ignorava l’identità.

Questa mattina ha lasciato in aereo alla volta di Venezia la salma del capitano Giorgio Renier, direttore di macchina del «Fusina».

Ieri era stato celebrato un rito funebre per la salma del capitano Renier.

Un altro rito viene celebrato oggi per le vittime del mare le cui salme saranno fatte proseguire in un secondo tempo per Venezia.

Prosegue, intanto, la severa inchiesta della Capitaneria di Porto di Cagliari per tentare di chiarire le cause del naufragio del «Fusina».

Sorge il dubbio che il marconista non abbia fatto in tempo a lanciare il segnale di S.O.S.

Nemmeno ad inserire il segnale automatico di richiesta di soccorso.

L’ipotesi avanzata negli ambienti marittimi sardi, contrasta, peraltro, con il racconto fatto da Ugo Freguia, il quale mentre in un primo tempo aveva detto che tutto era stato fulmineo, in un secondo tempo ha dichiarato che tra il primo allarme e la tragica fine della nave era passata almeno mezz’ora.

Una cosa è certa: i posti radio di ascolto in Sardegna sono pochi, troppo pochi, basti pensare che il posto di ascolto di Campumannu è l’unico esistente fra la costa Sud e la costa Orientale (Arbatax) della Sardegna.

Inoltre all’altezza di Capo Sandalo c’è un pericoloso cuneo di silenzio, per cui le navi che usino soltanto la fonia (il radiotelefono) non vengono captate dal posto radio di ascolto a terra.

Quando recentemente la motonave «Tabarchin» si incagliò nella zona di Capo Sandalo il posto di ascolto a terra non raccolse il segnale di S.O.S. lanciato con il radiotelefono.

In altre parole si riesce a captare soltanto il segnale in radiotelegrafia.

Segnale che peraltro, potrebbe essere ricevuto perfino dalle stazioni costiere della Spagna.

Il che non sarebbe avvenuto per il «Fusina».

Pare accertato, infatti che nessun segnale di richiesta di soccorso sia stato captato nella notte fra venerdì e sabato scorsi, in tutto il bacino del Mediterraneo.

Carlo Patrizi

Parla l’ex capitano del cargo affondato
Il «Fusina» poteva fare l’intero giro del mondo

Perché il «Fusina» si è inabissato?

E’ la domanda che da domenica notte si rivolgono disperate diciotto famiglie.

E’ la domanda che si pone l’opinione pubblica, dolorosamente stupita che tragedie simili possano accadere in un’era, che viene comunemente denominata come l’epoca «della tecnica».

Una risposta per ora non è in grado di darla nessuno, nemmeno gli uomini che vivono sul mare, nemmeno quelli che hanno conosciuto il «Fusina», per aver navigato con esso, addirittura per averlo comandato.

Come il capitano Fausto Pasetti, 50 anni, abitante a Preganziol in via Schiavonia 38G.

Lo abbiamo avvicinato poco prima che partisse su un mercantile, il «S.Fabio», di Trieste.

Ha con sé come nostromo un chioggiotto, Fiore Boscolo, che era stato pure imbarcato sulla tragica nave.

«Conoscevo bene il "Fusina" - ci ha detto - era una buona barca, tenuta come si deve.

Nel maggio 1968 ero a bordo come primo ufficiale.

Nell’estate scorsa, invece, l’avevo al mio comando.

E proprio in settembre aveva fatto, come si dice in gergo, la classe.

«Cioè, alla presenza di un ingegnere del Registro Navale era stata sottoposta ad un’attenta revisione, nelle acque prospicienti la Montecatini, a Marghera.

E’ un minuzioso controllo che deve essere compiuto ogni quattro anni e che s’era concluso in modo positivo.

Tutto a posto.

Anche le scialuppe in acciaio, con i suoi cassoni, per il galleggiamento, convenientemente stagnati.

«Non capisco, a proposito, come non siano state usate.

La nave inclinata, se è impossibile mettere a mare quelle del fianco opposto, è più facile far scendere le scialuppe della parte strapiombante.

E se per qualche ragione la manovra non può riuscire, manovrando i paranchi, si abbattono questi ultimi a colpi d’ascia.

«Perché la nave si è capovolta?

Forse, ma si badi bene è una pura ipotesi, può aver ceduto una paratia nella stiva.

Bisogna tener presente che la blenda, quando esce dalla fabbrica è umida (l’umidità non dovrebbe superare il 7 per cento).

L’acqua cola al fondo e si trasforma in una massa d’urto, i cui effetti sono pesanti quando per il rollio la nave si inclina a destra e a sinistra.

D’altra parte la blenda è come una colla cementizia.

Una volta che si riversi su un lato, non si stacca e grava con il proprio peso contro il fianco, sul quale s’è ammassata.

«Così, la nave sbanda, è esposta alle ondate che vi si riversano e la rovesciano.

Ritengo che non si possa parlare di carico male stivato.

Non con il capitano Catena.

Un gentiluomo, come uomo; preciso, attento e responsabile come comandante.

Anche la barca era buona, a posto.

Avrebbe potuto fare il giro del mondo.

Macchine buone, buoni gli ausiliari, efficiente il radar, ottimo l’apparato di segnalazione, sia il radiotelegrafo, sia il radiotelefono.

«Perché non sono stati captati i segnali?

Per quelli luminosi ci può essere una spiegazione.

A quel che so, nella zona dove è accaduta la tragedia, si svolgono spesso esercitazioni della marina militare.

I pescatori e la gente che erano sulla costa hanno ritenuto, forse, che si trattasse di manovre, appunto, e non hanno fatto caso.

«Più difficile spiegarsi, invece, perché non sono stati captati i segnali radio.

Nel corso di un’ora, tanto cioè - secondo le dichiarazioni dell’unico superstite - sarebbe durata l’agonia della nave, ci sono state almeno due occasioni per captare l’SOS, lanciato dall’automatico.

Gli impianti di segnalazione della «Fusina» infatti ne erano dotati.

«Sulla frequenza 21,82, ogni mezz’ora tutte le trasmittenti osservano tre minuti di silenzio per consentire la ricezione di eventuali invocazioni di soccorso.

Come mai quelle del "Fusina" non sono state captate?».

Ora il capitano Pasetti deve andare: il «San Fabio» lo attende.

Ci lascia perciò con queste domande, tormentose per noi uomini dell’era della tecnologia.

Il mare ghermisce e uccide come da sempre.

Giorgio Soligo

Continua...

Fine settima parte - Articolo 17

 

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