A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

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La tragedia del Fusina

Settima parte

Rassegna stampa nazionale

Articolo 18

IL GAZZETTINO DI VENEZIA
Edizione locale

venerdì 23 gennaio 1970

CONTINUANO LE RICERCHE DOPO IL NAUFRAGIO DEL CARGO VENEZIANO

Localizzato un relitto: forse è il «Fusina»
Lo scafo giace ad un centinaio di metri di profondità
Almeno cinque uomini morirono sugli scogli

(DAL NOSTRO CORRISPONDENTE)
Cagliari, 23 gennaio

Neppure il corteo funebre di stamane, che ha accompagnato alla nave-traghetto, sul molo di Carloforte, le salme degli ultimi tre marinai del «Fusina», recuperate fra gli scogli, era così mesto come è stata la partenza delle barche dei pescatori per le scogliere di San Pietro, poco dopo l’alba.

Sul mare, piatto come uno specchio, le vogate si stampavano lente e le imbarcazioni e il silenzio sapevano di funerale.

C’era anche la barca del fratello di Mario Catena, il comandante della nave inabissatasi, diretta al largo.

E c’erano quelle dei vigili del fuoco, con a bordo il tritolo da usare per aprirsi un varco fra i massi del piccolo atollo, dove galleggiava ancora il corpo avvistato mercoledì sera e che invano si era tentato di recuperare.

La popolazione era addensata sulla banchina, per salutare, con la sua presenza, quelli che ripartivano per le loro case dentro una bara, quando le cariche esplodevano a «La Caletta» e l’eco arrivava alla gente.

«Morti per niente» è il solo commento che abbiamo sentito.

Lo abbiamo scritto ieri: alcuni sono arrivati a riva e il freddo li ha uccisi dopo che gli scogli avevano bloccato ogni loro speranza.

Cinque degli uomini del «Fusina» sarebbero infatti riusciti a toccare terra; quattro sarebbero morti in seguito alle ferite subite nell’urto con gli scogli contro i quali furono scagliati dalla violenza delle onde, il quinto sarebbe riuscito ad arrampicarsi sulle scogliere, ma poi, esausto, non sarebbe riuscito a raggiungere un riparo e sarebbe morto per assideramento.

A queste conclusioni è giunto il dottor Felice Maurandi, un medico di Carloforte, incaricato dal Pretore di Sant’Antioco, dott. Polo, di fare la perizia necroscopica.

Il dottor Maurandi, che ha esaminato le otto salme portate a Carloforte (una fu portata a Sant’Antioco, l’altra a Cagliari), ha detto che gli altri tre marinai del «Fusina» sono morti in mare.

Il bilancio del naufragio - secondo le risultanze della perizia fatta dal dottor Maurandi - avrebbe dunque potuto essere meno drammatico se i cinque uomini avessero toccato terra in una zona meno frastagliata, come avvenne per il cameriere di bordo Ugo Freguia, che è l’unico ad essersi salvato.

Poco dopo, il traghetto era già di ritorno, dopo aver toccato la Sardegna; l’imbarcazione dei vigili è tornata a riva con un telo steso sul ponte per celare la salma recuperata, Freguia e De Simone l’hanno poi identificata:era quella del cuoco di bordo Giovanni Lenzovich di 57 anni, abitante a Mestre.

Le ricerche compiute oggi non hanno dato alcun esito e sarà difficile che le altre salme possano essere recuperate, adesso che le correnti hanno avuto il tempo di sospingerle secondo il loro capriccio.

Intanto le navi della Marina Militare, che scandagliano il fondo del mare hanno localizzato un relitto, a due miglia e mezzo al largo di Capo Sandalo; l’individuazione è avvenuta a mezzo di scandagli sonori e di apparecchiature elettriche.

Si ritiene che lo scafo - che giace fra i 70 e gli 80 metri di profondità - sia quello del «Fusina» e pertanto le autorità militari hanno chiesto attrezzature adatte all’esplorazione subacquea e telecamere che possano consentire di identificare il relitto con certezza.

Se è il «Fusina» sapremo forse la verità: se il carico ha prodotto l’affondamento, se era stato assicurato come è prescritto, se gli apparati R.T. erano efficienti.

Immediatamente dopo la localizzazione dal punto presunto del naufragio, sono state fatte prove di ricezione radio telegrafica per appurare se la zona sia effettivamente in ombra rispetto alle stazioni riceventi della costa.

I primi risultati sembrano confermare la difficoltà di ricevere i segnali emessi da quel punto.

Essi sono infatti risultati assai deboli.

Quello che deve esser fatto è sopratutto questo: rivedere subito le condizioni nelle quali gli uomini di mare lavorano e vivono; installare stazioni radiotelegrafiche e radiogoniometriche.

Continua...

Fine settima parte - Articolo 18

 

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