A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

Indice generale della rubrica "La grande Storia di Carloforte"

 

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Dodicesima parte

Atti parlamentari

Atto 04

SENATO DELLA REPUBBLICA
V LEGISLATURA — 471a SEDUTA PUBBLICA — RESOCONTO STENOGRAFICO

SEDUTA DI VENERDÌ 7 MAGGIO 1971
Presidenza del Vice Presidente SECCHIA
indi del Vice Presidente GATTO

Risposte scritte ad interrogazioni

PRESIDENTE. – Interpellanze del senatore Gianquinto e di altri senatori. Se ne dia lettura.

DI VITTORIO BERTI BALDINA, Segretario:

GIANQUINTO, SEMA, PIRASTU. - Al Ministro della marina mercantile -
Per conoscere i risultati dell’inchiesta disposta dall’autorità marittima per l’accertamento delle cause del naufragio della motonave <<Fusina>> avvenuto nella notte dal 16 al 17 gennaio 1970, al largo di Porto Vesme in Sardegna, inchiesta che risulta conclusa il 16 giugno.
Premesso che la nave giace su un fondo sabbioso, coricata sul fianco sinistro, e presenta nella fiancata destra ingobbature ed ampie falle, alcune di 3 – 4 metri di diametro, gli interpellanti chiedono di conoscere, in particolare, la natura delle ingobbature e degli squarci, accertamento, questo, risolutivo per stabilire le cause del sinistro, dato che il carico di blenda non poteva né esplodere, né produrre ingobbature e squarci, che nemmeno possono essere stati provocati dall’urto della nave contro il fondo perché esso è sabbioso.
Comunque, la nave è appoggiata sul fianco opposto a quello che presenta squarci e ingobbature.
Gli interpellanti ritengono che squarci ed ingobbature nemmeno possono essere stati prodotti da urti contro gli scogli, sia perché, come rilevato, il fondo è sabbioso, sia perché il naufragio avvenne in mare aperto, a circa due miglia dall’isola di San Pietro.
Gli interpellanti chiedono, altresì, di conoscere le cause che determinarono la rottura dell’elica e, ancora, perché non è stata vietata la partenza della nave se le condizioni meteorologiche, la quantità del carico e le condizioni del suo stivaggio non corrispondevano alle prescrizioni dell’autorità marittima.
Otto tale profilo, si fa riferimento alle dichiarazioni rese dal Governo al Senato nella seduta del 23 giugno 1970.
Infatti, si disse allora che << in considerazione delle caratteristiche del carico, la nave prese le spedizioni con l’obbligo di effettuare la navigazione con tempo e mare rispondenti a caratteristiche prescritte >>; che << all’atto della partenza della motonave "Fusina" (ore 21,15 del 16 gennaio 1970), le condizioni meteorologiche non corrispondevano alle prescrizioni dell’autorità marittima.
Infatti, un mare forza 4 – 5 in aumento non può assolutamente considerarsi né favorevole né assicurato, per cui intraprendere e proseguire la navigazione era nettamente in contrasto con le prescrizioni date dal Registro navale italiano mediante fonogramma ed annotate con inchiostro rosso sul ruolo di equipaggio dell’autorità marittima >>.
Si chiede di sapere, quindi, perché venne consentito di caricare 4.000 tonnellate di blenda, minerale tanto più pericoloso in quanto era stato esposto a violente e continue piogge, e perciò con una percentuale di umidità eccessiva, su di una motonave che stazzava soltanto 2.706 tonnellate, per giunta logora nelle strutture e nell’apparato propulsore.
Gli interpellanti chiedono, infine, quali sono gli intendimenti del Governo in merito al recupero del relitto, per accertare le vere cause del tragico e misterioso sinistro attraverso l’ispezione diretta della nave, tanto più che sono risultate inattendibili le dichiarazioni, del resto contrastanti, dell’unico superstite. (interp. – 369)

GIANQUINTO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANQUINTO. Onorevole Presidente, mi sembra che non occorra illustrare l’interpellanza in esame perché essa reca in maniera abbastanza specifica le varie questioni e le motivazioni della medesima.
In sostanza l’interpellanza vuole ottenere dal Governo una risposta sulle cause del naufragio della << Fusina >>; cause non ipotetiche, come si sono prospettate sinora, ma reali.
Ciò anche, fra l’altro, in adempimento a disposizioni precise recate dalla circolare del Ministero della marina mercantile in data 8 gennaio 1963, ove, al punto 42, si dice: <<Nelle conclusioni dell’inchiesta occorre precisare se il parere viene espresso all’unanimità, a maggioranza o a parità di voti e dichiarare nettamente e senza formule indecise o vaghe se il fatto sia avvenuto per dolo o per colpa o per caso fortuito o di forza maggiore.
Nel caso di colpa si dovrà specificare se essa sia derivata da negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di regolamenti di ordine o di disciplina da parte della persona preposta al comando della nave o di uno o più membri dell’equipaggio.
Le conclusioni quindi devono essere il più possibile chiare e concise.
Inoltre, ove per la morte di tutti i componenti l’equipaggio o per la mancanza di altri elementi essenziali la commissione non possa giungere ad alcuna conclusione definitiva sulle cause del sinistro e sulle eventuali responsabilità, dovrà farlo rilevare dal verbale, ciò che sarà sufficiente a dimostrare che il compito della commissione è esaurito >>.
Con queste premesse, signor Presidente, ritengo di non aver niente da aggiungere a ciò che è scritto nell’interpellanza e mi aspetto una risposta concreta da parte del Governo perché l’opinione pubblica veneziana e di Chioggia è ancora affranta dal disastro che ha colpito questa nave e le diciotto famiglie dell’equipaggio.
Queste diciotto famiglie aspettano ancora di conoscere le cause reali della morte dei congiunti.

PRESIDENTE. Il Governo ha facoltà di rispondere all’interpellanza.

CAVEZZALI, Sottosegretario di Stato per la marina mercantile.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, come è noto, la motonave << Fusina >> il giorno 16 gennaio 1970, dopo aver ultimato il carico di circa 3.900 tonnellate di blenda, lasciava la banchina di Porto Vesme diretta a Porto Marghera e nel tardo pomeriggio del 18 gennaio si presentava all’ufficio marittimo di Carloforte il marittimo Freguja, imbarcato come cameriere sulla << Fusina >>, dichiarando appunto di essere superstite dell’equipaggio di detta motonave la quale era affondata circa un’ora dopo la partenza da Porto Vesme.
Questo il fatto al nostro esame.
Come è noto, la motonave << Fusina >> era stata costruita nel 1957 sotto la vigilanza del registro italiano navale dal cantiere Pellegrino di Napoli per conto della società l’Italica di navigazione.
Fu successivamente venduta alla società di navigazione Sant’Ambrogio e da questa alla società Sava, che la sottopose ad alcuni lavori di trasformazione.
Essa era in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla convenzione di Londra sulla sicurezza della vita umana in mare ed aveva ottenuto la proroga della classe fino al 31 gennaio 1970, mentre erano ancora in corso le visite di riclassifica che avrebbero dovuto essere ultimate con il rientro a Venezia.
Le caratteristiche architettoriali della nave consentivano una portata lorda di 4.275 tonnellate, alle quali corrispondeva, a pieno carico, un dislocamento di 5.659 tonnellate.
Essa aveva imbarcato a Porto Vesme 3.940 tonnellate di blenda flottata, di cui 1.100 tonnellate nella stiva n. 3, 2.230 tonnellate nella stiva n. 2 e 610 tonnellate nella stiva n. 1.
La quantità di blenda imbarcata, 3.940 tonnellate, comportava un dislocamento totale di 5.548 tonnellate, inferiore di tre tonnellate a quello massimo consentito, per cui si può ritenere che il carico rientrava nei limiti di capacità della nave.
La blenda imbarcata nelle stive n. 1 e n. 2, munite di cascio, aveva un grado di umidità compreso fra il 12 e il 13 per cento, mentre quella imbarcata nella stiva n. 3, non munita di cascio, aveva un grado di umidità compreso fra il 7 e l’8 per cento.
Dalla voce dell’unico sopravvissuto, il cameriere di bordo Freguja Ugo, si è appreso che egli fu svegliato verso le 22,30 e che, a causa dell’inclinazione della nave, con molta fatica riuscì a raggiungere la coperta, ove notò che l’unità era sbandata sulla sinistra con il trincarino sott’acqua e che le onde avevano spezzato i pannelli dei boccaporti per cui l’acqua di mare entrava nelle stive.
Lo stesso testimone ha riferito che il comandante, dopo aver invano tentato con l’equipaggio presente di mettere in mare la imbarcazione di salvataggio, dispose l’abbandono della nave che in poco tempo si inabissò.
La nave era dotata di mezzi di salvataggio, individuali e collettivi, adeguati e conformi alle prescrizioni per la salvaguardia della vita umana in mare.
Tuttavia è agevole presumere che i mezzi di salvataggio, costituiti da due lance e da una zattera, non potettero nella circostanza essere calati in mare, sia per lo sbandamento avvenuto quasi improvvisamente della nave, sia per il successivo rapido affondamento della stessa.
Il superstite ed i cadaveri recuperati erano invece tutti muniti di giubbetti di salvataggio ed alcuni di essi anche di salvagente anulare.
Il relitto della motonave << Fusina >> fu identificato attraverso numerosi particolari, fra cui le caratteristiche generali dello scafo, la posizione del piano e delle maniche a vento, la disposizione e forma degli embrionali, la posizione di alcuni oblò e le strutture della plancia.
Esso giace su un fondale piatto a 98 metri di profondità, abbattuto sul lato sinistro con la prora rivolta verso nord-est.
L’unità appare priva di elica e con tre squarci di metri 3 per 4, rispettivamente a prora, al centro ed a poppa, in corrispondenza dei quali esistono profonde ingobbature fra le costole.
I rilievi effettuati dagli operatori della Marina militare non hanno consentito di stabilire in modo preciso la natura delle ingobbature e degli squarci osservati sul lato destro dello scafo.
Ciò in quanto la presenza di fango in sospensione nelle adiacenze del relitto ha notevolmente limitato la possibilità di osservazione da parte degli operatori medesimi; i quali, peraltro, dopo ben sei immersioni con apposita torretta batoscopica, il cui impiego è stato imposto dalla notevole profondità in cui era necessario operare, hanno giudicato non suscettibili di maggiori risultati, mediante ulteriori immersioni, le ricognizioni già eseguite.
Tuttavia è stato possibile accertare che il fondo marino sul quale si è inabissato il relitto è di natura rocciosa e non sabbiosa, come era dato presumere in un primo momento.
La constatazione, poi, che il relitto medesimo giace ai piedi di una scarpata, anch’essa rocciosa, alta 25 metri, lascia ipotizzare una dinamica dell’affondamento in virtù della quale potrebbero risultare evidenti la natura e l’origine sia degli squarci che delle ingobbature.
Tale circostanza ha, infatti, indotto la commissione di inchiesta formale a ritenere che, con ogni probabilità, le falle e le ingobbature rilevate sul fianco destro della nave siano state prodotte dall’urto della fiancata stessa sul lembo superiore della scarpata, ai cui piedi giace ora il relitto.
Dalle risultanze dell’inchiesta non sono emersi elementi idonei ad accertare inequivocabilmente le ragioni che determinarono la rottura dell’elica.
Tuttavia è da ritenersi del tutto attendibile che essa possa essere stata originata da un urto o per effetto di sollecitazioni del tutto anormali e di eccezionale violenza sulla linea d’assi.
Tale affermazione risulta, d’altra parte, pienamente coerente alla dinamica di affondamento in precedenza ipotizzata, in quanto lascia con sufficiente realismo presumere che, durante l’inabissamento del relitto, l’elica sia venuta a contatto con qualche sporgenza della scarpata.
Dopo aver chiarito tali dati ed elementi, relativi ad alcuni particolari aspetti del sinistro di cui trattasi, desidero soffermare l’attenzione sul punto centrale di tutto il problema e cioè la individuazione della causa o del concorso di cause che hanno determinato il naufragio della << Fusina >>.
Devo ricordare che la commissione di inchiesta formale, alla quale, oltre ai membri previsti dal codice della navigazione, sono stati aggregati due esperti in stivaggio e in condotta della navigazione, appositamente designati dalle organizzazioni sindacali dei marittimi, ha concluso i suoi lavori il 16 giugno 1970.
Da tali lavori è emerso che l’affondamento della motonave << Fusina >> può ipotizzarsi avvenuto per spostamento del carico di blenda, successivo ingavonamento della nave e conseguente allagamento delle stive.
Tale ipotesi potrebbe considerarsi avvalorata anche dalla posizione del relitto, che rivolge la prua verso Porto Vesme, e dalla dichiarazione del superstite, che ricordava di aver notato da bordo la luce del faro di Punta delle Oche sulla dritta di prora.
Il che, se esatto, fa supporre una manovra di inversione di rotta compiuta dal comandante Catena che, accortosi dell’incipiente ingavonamento, avrebbe tentato, nel perdurare di condizioni di tempo avverse, di rientrare in porto.
Tale manovra, tuttavia, portando ad esporre all’azione del vento e del mare il fianco sbandato della nave, potrebbe aver reso ancora più precaria la stabilità della nave stessa, invasa dalle onde continuamente irrompenti in coperta.
Nel corso dell’inchiesta formale è stato dichiarato che il comandante della nave aveva deciso di partire, pur sapendo che sul ruolo di equipaggio della nave stessa l’autorità marittima aveva annotato l’obbligo della partenza soltanto con tempo e mare assicurato, mentre le condizioni meteo-marine non erano effettivamente tali, specie per intraprendere o comunque proseguire il viaggio dopo l’uscita della nave dal canale di Porto Vesme.
Il pilota del porto ha dichiarato di avere prima della partenza e poi stando a bordo, sconsigliato il comandante di partire e comunque di proseguire il viaggio se non dopo la perturbazione in atto.
A spiegazione del complesso dei motivi che hanno pesato sulla decisione del comandante Catena di intraprendere il viaggio, va accennato alle considerazioni fatte dalla commissione inquirente, basandosi su una lettera agli atti della società Monteponi e Montevecchio, da cui si presume che tanto la società armatrice quanto quella caricatrice avevano manifestato al comandante interesse affinché la nave partisse, anche se non avesse completato il carico, e concludesse il viaggio al più presto.
La commissione inquirente aggiunge, però, che il comandante Catena, pur avendo intrapreso il viaggio, avrebbe potuto mettersi alla cappa o dar fondo, non appena fuori del canale, in attesa del passaggio della perturbazione in atto, ottemperando così in pieno alle prescrizioni dell’autorità marittima e del Registro navale.
E’ da notare che la commissione medesima, pur ritenendo, a parere unanime, che sia emersa dall’inchiesta l’imprudente valutazione, del comandante Catena, delle condizioni meteo-marine nell’intraprendere la navigazione, tuttavia ha espresso il giudizio che la ricostruzione ipotetica del sinistro non consente di attribuire piena responsabilità a chicchessia, in quanto mancano elementi per stabilire con esattezza se la colpevolezza del comandante o la sua scarsa prudenza abbia avuto o meno valore determinante nella causa dell’evento dannoso.
Quanto infine all’ultimo punto dell’interpellanza, concordo con gli interpellanti nel ritenere che soltanto con il recupero e l’ispezione diretta della nave consentirebbero di accertare le vere cause del tragico sinistro.
Tuttavia si deve prendere atto che la profondità di 98 metri, in cui ora giace il relitto, nonché la natura del carico e lo stato del mare, hanno indotto gli organi tecnici a giudicare problematico, se non addirittura impossibile, il recupero stesso, almeno tenendo conto dei mezzi di cui attualmente è possibile disporre.
Sicché, nelle condizioni attuali del relitto, non può l’autorità marittima, in base all’articolo 507 del codice della navigazione, provvedere all’assunzione del recupero di esso.
Il direttore marittimo di Cagliari, presidente della commissione d’inchiesta sul sinistro marittimo in oggetto, ha trasmesso al Procuratore della Repubblica gli atti dell’inchiesta formale in ottemperanza a quanto prescritto dall’articolo 1241 del codice della navigazione che fra l’altro precisa che il verbale d’inchiesta << ha valore di rapporto >>.
Il Procuratore della Repubblica ha disposto l’apertura di istruttoria per naufragio colposo in conformità delle conclusioni dell’inchiesta.
Il Ministero fin dal 25 febbraio 1970 ha elaborato dettagliate prescrizioni per lo stivaggio ed il trasporto di minerali flottanti in modo da ovviare da parte del comando di bordo delle navi ad ogni possibilità di scorrimento del carico.
Ha affidato altresì al proprio Ispettorato tecnico l’analisi di tutti gli elementi emersi per ricerca di atti e documenti relativi alla nave << Fusina >> e dei rapporti e delle dichiarazioni richieste od ottenute da personale già imbarcato sulla nave in modo da vagliarne a posteriori le possibili condizioni di efficienza.
L’Ispettorato tecnico ha confermato in data 21 dicembre 1970 l’attendibilità delle motivazioni della commissione d’inchiesta circa la dinamica del sinistro.
Leggo le conclusioni dell’inchiesta, firmate da tutti i membri della commissione: << La ricostruzione ipotetica del sinistro non può ovviamente porre in grado la commissione di attribuire con certezza responsabilità a carico di chicchesia.
A parere unanime della commissione unico elemento certo di colpevolezza, e forse non determinante, che è emerso dalla presente inchiesta è un’imprudente valutazione, da parte del comandante C.L.C. Mario Catena, matricola 10856 di Venezia, delle condizioni meteo-marine nell’intraprendere la navigazione con un carico della cui pericolosità era perfettamente a conoscenza >>.
Il Ministero comunque si riserva di adoperarsi ulteriormente perché il Ministero della difesa-marina possa, con la buona stagione e con mezzi più idonei, far effettuare da nave appositamente equipaggiata ulteriori immersioni con torretta batoscopica e in condizioni migliori delle precedenti per dar luogo ad una nuova ricognizione del relitto e del fondale circostante, anche se nel suo rapporto il Ministero della difesa-marina ritiene che non siano conseguibile, per motivi tecnici, risultati più soddisfacenti di quelli precedentemente raggiunti.

GIANQUINTO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANQUINTO. – Onorevole Presidente, io devo dichiararmi purtroppo non soddisfatto della risposta, perché rimangono ancora ipotetiche le cause reali del sinistro, anche se si profila una responsabilità per colpa del comandante della nave, sollecitato – questo è importante – dalla società armatrice e dal vettore che insisteva perché la nave giungesse di gran fretta a Venezia.
Rimane da risolvere il problema di fondo: quale è stata la causa vera?
E soprattutto, quesito inquietante, bisogna pervenire all’accertamento della natura degli squarci che sono sulla fiancata opposta a quella sulla quale giace la nave.
Qual è il tipo di questi squarci?
E perché anche – altro quesito più inquietante del primo – ci sono le ingobbature nella fiancata della nave?
Questa situazione è tale da far sospettare quasi che nelle stive non ci sia stato soltanto il blenda ma qualcosa di esplosivo.
Infatti, se è vero che gli squarci non sono dovuti all’urto della fiancata contro le rocce e dato che il blenda non è esplosivo, rimane da risolvere il quesito: perché l’esplosione verificatasi all’interno della stiva della << Fusina >>?
Ecco la ragione fondamentale della mia insoddisfazione: è l’avere inteso ancora una volta il rifiuto – si può dire – di procedere al recupero dello scafo, il cui esame soltanto può determinare la certezza delle cause del sinistro.
Ora io nego che oggi, 1971, non ci possano essere apparecchi tecnici capaci di sollevare un relitto che giace soltanto a novanta metri di profondità.
Sarebbe stata un’impresa ardua con mezzi tecnici arretrati, ma allo stato attuale vi sono dei pontoni tali che possono arrivare a sollevare il relitto.
Signor Presidente, io voglio sperare che il Governo mantenga l’impegno di tentare nuovamente il recupero del relitto, perché soltanto così si può dare una risposta che legittimamente le famiglie dei naufraghi attendono.
Esse vogliono sapere la vera causa di questo grande disastro che ha colpito la famiglia marinara di Venezia e di Chioggia.
Abbiamo fatto un passettino avanti rispetto alla risposta che il Governo ci ha dato circa un anno fa, giacché apprendo che la commissione ha potuto acquisire agli atti una lettera della società armatrice della nave che sollecitava il rientro a Venezia della nave stessa.
E’ stata indubbiamente questa spinta, è stato questo richiamo, questo sollecito, forse questo ordine della società armatrice della nave e del vettore a determinare l’imprudenza colpevole del comandante della nave di prendere il largo nonostante le condizioni proibitive del tempo.
Signor Presidente, finisco col chiedere: se l’autorità marittima di Porto Vesme accertò che le condizioni del mare non davano affidamento di sicurezza, perché non ha impedito la partenza della nave?
Qui può profilarsi una responsabilità anche delle autorità marittime locali.
A nulla vale annotare con l’inchiostro rosso sul libro di bordo che con un mare forza 4 – 5 il viaggio non è sicuro senza prendere il provvedimento di impedire la partenza della nave.
Questa è un’ulteriore ragione per cui io ribadisco la mia insoddisfazione per la risposta del Governo all’interpellanza.

PRESIDENTE. Lo svolgimento delle interpellanze è esaurito.

Continua...

Fine dodicesima parte - Atto 04 - Seguono altri atti parlamentari

 

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