A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

Indice generale della rubrica "La grande Storia di Carloforte"

 

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Monumenti antichi dell’Isola di San Pietro

Seconda parte

 

In conseguenza di queste scoperte, sempre nello stesso anno 1878 venne fatta ufficialmente la prima campagna di scavi archeologici nell’Isola effettuata dal Soprastante alle Antichità Vincenzo Crespi, in località Spalmatore di fuori, della quale il Commissario ai Musei e Scavi della Sardegna Fiorelli nell’edizione delle Notizie agli Scavi scrive:

“Alla notizia già data sull’importante scoperta di una necropoli a Carloforte, credo opportuno di aggiungere i seguenti particolari, che maggiormente dimostrano l’importanza del trovamento, raccolti dal Prof. Vivanet, ff. di commissario per i Musei e Scavi di Sardegna.

Dell’Isola di San Pietro, anticamente chiamata dai Greci Ieracon, e dai Romani Accipitrem pei falconi che la popolano, non si hanno notizie storiche, che la indichino abitata prima dei profughi Liguri, provenienti dall’isola di Tabarca nel 1737.

Tuttavia era supponibile, che in tempi remoti quest’ isola non mancasse di abitatori, e che vi si stabilisse qualche stazione militare.

Nessuna scoperta peraltro avvalorava tale ipotesi, se si eccetui il rinvenimento di un ripostiglio di medaglie consolari, e monete cartaginesi e romane sparse nel suolo.

Senonchè al solo caso era riservato il privilegio di sciogliere il problema, scoprendovi una intera necropoli che, da secoli giaceva sepolta sotto un’ immensa duna.

A sud-ovest dell’ isola, 25 minuti circa dal mare, ove trovasi un seno denominato la Caletta capace d’ancoraggio a piccole navi, havvi una regione chiamata lo Spalmatore di Fuori.

Tale è la località ove i lavori del proprietario favoriti dai venti impetuosi dello scorso inverno, condussero alla scoperta di una necropoli ricca di tombe, la quale dovrà spandere molta luce sulla storia del paese.

Ecco come si presentarono queste tombe.

Diverse pietre più o meno regolari in forma quasi piramidale, si elevano dal suolo circa mt. 0,50; questi segni evidentemente tenevano luogo delle stele o cippi, e diedero il primo indizio di ricerca.

Infatti allorché si smosse una di quelle pietre, si rinvenne una grossa giarra di quelle dette Vinarie,a poca profondità dal suolo ed al capo della tomba o loculo in cui era deposto il cadavere, coperto di grossi lastroni in piano, i quali congegnavano perfettamente con una risega che contornava superiormente le parti dell’ arca.

Undici di questi loculi furono vuotati, e non pochi oggetti andarono smarriti, non essendosi tenuto cura di crivellare la terra che se ne estraeva.

Fra gli oggetti più interessanti merita speciale menzione un braccialetto, risultante di più scudetti di sottilissima lamina d’ oro, in cui sono rappresentate diverse bizzarre figure di grossolano lavoro, e di scorretto disegno.

Per l’ anzidetta cagione non si raccolsero di tante belle collane, che pochi globetti d’ oro, ed alquanti di smalto.

Le stoviglie, sebbene siano in numero piuttosto considerevole, non presentano alcun che di particolare, e le poche lucerne sepolcrali appartengono alle più comuni.

Finalmente i pochi vetri che si poterono estrarre interi, consistono in lacrimatoi ed anforette,vasetti cosmetici, e in una magnifica fiala di forma globosa ed elegante.”

 

Dalle monete trovate nei diversi loculi, ed appartenenti al tempo degli Antonini, si può dedurre l’età di queste tombe. ROMA, 15 LUGLIO 1878

Questa relazione è il sunto di quella del 13 Giugno 1878, scritta sempre dal Crespi, che si riporta integralmente:

Ill.mo Sig. Commissario

In riscontro della nota del 7 corrente riguardo le scoperte archeologiche fattesi nell’Isola di San Pietro, il Sottoscritto riverente ai desideri della V.S. Ill.ma pregiasi renderla edotta di quanto segue:

Dell’Isola di San Pietro, anticamente chiamata dai Greci Jeracon e dai Romani Accipitrum poiché popolata in tutta la sua estensione da falconi, non si hanno riscontri storici d’essere abitata prima dell’approdo dei profughi liguri provenienti dall’Isola di Tabarca nel 1737.

Tuttavia era suponibile che in tempi remoti questa isola non mancasse di abitanti e di qualche opido o stazione militare quivi dovesse stanziare stante la sua posizione rispetto al continente Sardo.

Scoperte però che potessero avvalorare questa opinione finora non si erano verificate ad eccezione d’ un ripostiglio di medaglie consolari, e monete cartaginesi e romane trovate sparse nel terreno, né si tentarono escursioni scientifiche all’uopo.

Senonchè al solo caso era riservato il privilegio di sciogliere il problema scoprendosi una intiera necropoli che per secoli e secoli giaceva sotto una immensa duna.

A S.O. dell’Isola 25 minuti circa dal mare ove trovasi un seno chiamato la Caletta capace d’ancoraggio a piccoli battelli avvi una regione chiamata lo Spalmatore di fuori.

In questa regione il Nobile Signore Cav. Gregorio Plaisant in un suo predio posto nel luogo detto le Arene volle impiantare un vigneto, e siccome in questo sito il suolo è coperto da monticelli di sabbia, l’intelligente proprietario immaginò che svelti i diversi cespugli i quali facevano ostacolo a queste sabbie mobili, il vento facilmente avrebbe compito il rimanente dell’opera e che lo sgombro di queste si sarebbe effettuato nello stesso modo col quale si accumularono.

Diffatto i calcoli del Sig. Plaisant non fallirono, impetuosissimi venti venuti in seguito smossero quelle secolari dune, e quasi per incanto, grandissimo tratto di arido terreno fu spazzato e reso coltivabile.

Se grande fu la sua contentezza nel vedere così difficile opera effettuarsi con tanta rapidità, non minore fu la sua sorpresa nel trovarsi possessore di una necropoli ricca di tombe, la quale può rendere o meglio dovrà spandere molta luce sulla storia del suo paese natio.

Ecco come si presentarono queste tombe: diverse pietre più o meno regolari in forma quasi piramidale si elevano dal suolo 50 centimetri circa; questi segni evidentemente tenevano luogo alle stele ed ai cippi e diedero il primo indizio di ricerca; infatti appena smossa una di queste pietre si rinvenne una grossa giarra, di quelle dette vinarie, a poca profondità dal suolo, ed al capo della tomba o loculo in cui era deposto il cadavere, coperto con grossi lastroni piani i quali congegnavano perfettamente con una risega che contorniava superiormente le pareti dell’arca.

Undici di questi loculi furono vuotati, molti oggetti però dovettero andare smarriti non essendosi tenuto cura di crivellare la terra che se ne estraeva.

Di ciò, per onor del vero, non se ne deve a debitare colpa al proprietario del terreno giacchè appena avute dal sottoscritto debite istruzioni, non solo ebbe la cortesia d’uniformarsi a quanto gli suggeriva offerendogli la direzzione degli scavi, ma ancora ordinava di sospendere immediatamente i lavori di esplorazione fino a che lo scrivente potesse assistervi di persona.

Tra gli oggetti più interessanti merita speciale menzione un braccialetto risultante da più scudetti fatti con sottilissima lamina d’oro, in cui sono rappresentate diverse bizzarre figure di grossolano lavoro, e di scorretto disegno.

Diversi monili, per le ragioni anzi dette, andarono smarrite in guisa che di tante belle collane non si raccolsero che pochi globetti d’oro ed alquanti di smalto.

Le stoviglie sebbene siano state raccolte in numero piuttosto considerevole non presentano alcunchè di particolare, ed i pochi lumi o lucerne sepolcrali appartengono alle più comuni e quindi di pochissimo valore scientifico.

Finalmente i pochi vetri che si poterono estrarre intieri consistono in lacrimatoi od anforette, vasetti cosmetici, ed in una bellissima fiala di forma globosa ed elegante.

Intorno poi all’età di queste tombe, si può dedurre dalle monete che si rinvennero nei diversi loculi, le quali fin’ora appartengono tutte ai tempi degli Antonini.

Ora tutti i descritti oggetti sono conservati con cura dal Sig. Plaisant il quale aderendo ai consigli del sottoscritto gli terrà in collezione a disposizione di quelli che vorranno studiarli.

Ecco quanto, Ill.mo Sig. Commissario, il sottoscritto ha potuto notare intorno a questa interessante scoperta, e nella speranza che questi brevi cenni troveranno l’approvazione della V.S. Ill.ma ha l’onore di segnarsi col più massimo rispetto Della V.S. Ill.ma

Cagliari 13 Giugno 1878
Umilissimo Servitore
Vincenzo Crespi
Conservatore del R. Museo di Cagliari.

 

Nel Corpus Inscriptionum Semiticarum (CIS), I, 1, datato Parigi 1881, a pagina 39 rileviamo:

“Al Signore Dio dei Cieli adorato nella Isola degli Sparvieri, i due cippi e le due mummie (di sparvieri) che votò Baalhanno figlio di Hanno figlio di Eshmunamas figlio di Arish.”

(N.d.S. - Base lapidea trovata in Cagliari nel 1877 in località Stampace e conservata nel museo di questa città). E’ il titolo votivo di Baal Shamaim.

 

 

 

Dal giornale locale denominato "L’Eco di Carloforte" del 1° Settembre 1881, nel numero di saggio, nell’articolo intitolato “Cenni di storia patria” troviamo quanto segue:

“...quantunque su di alcuni poggi rinvenghisi delle reliquie attestatrici di spenta popolazione, come tombe, pozzi, monete, ossa di atletiche forme, e rovine di parecchi nuraghi, nulladimeno ne ignoriamo assolutamente la storia”.

 

Il 31 Luglio 1894 il giornale di Sassari “La Nuova Sardegna” riportava la seguente notizia:

Carloforte-28- La scoperta di tombe

Il Signor Giacinto Carpaneto, proprietario di diverse tonnare, accompagnato da parecchi amici, si recò nella regione Spalmatore posta al Sud dell’isola per procedere al dissotterramento di tombe colà esistenti da circa 700 anni.

Nel vigneto di proprietà del Signor Salvatore Plaisant fu Gregorio, scopersero due tombe, nella prima si rinvennero tre teschi e molte ossa, piatti, bicchieri,vasi; nella seconda cinque teschi con una collana di perle.

(N.d.S.- Evidentemente si tratta dello stesso appezzamento di terreno delle scoperte precedenti).

 

Nel Novembre del 1933 l’ing. dott. Michele Taricco nella sua “Geologia del foglio Isola di San Pietro – Capo Sperone” – a pag. 75 scrive:

“In San Pietro non vennero finora trovati nuraghi, costruzioni preistoriche comuni in Sardegna; sulla punta del Bricco del Polpo ho notato ruderi di una costruzione megalitica che ritengo di un nuraghe; forse a un nuraghe è pure attribuibile il rudere posto sulla punta di quota 56 in sinistra dello sbocco del Canale del Baccio nella pianura del R. Macchione.”

 

Nel 1943, durante la costruzione di un rifugio antiaereo, nell’attuale Viale Giacomo Parodo si scoprirono delle tombe dentro le quali si rinvennero delle anfore.

Sempre nella stessa zona denominata "Pozzino", durante la costruzione di quello che è l’attuale Poliambulatorio, vennero scoperte una serie di tombe coperte da lastroni di pietra.

 

Dopo la campagna di scavi del 1878, tutto si fermò e messo nella maggior parte tutto a tacere, finché nel 1961 Ferruccio Barreca durante l’esplorazione topografica ha consentito di individuare:

“presso la torre spagnola (N.d.S. - Boh!) di San Vittorio, i ruderi di una cinta fortificata in grandi blocchi irregolari e un ambiente rettangolare edificato con la tecnica dello “pseudo-telaio””.

 

Nel 1962 Gennaro Pesce e la Soprintendenza alle Antichità di Cagliari effettuarono una ricognizione ed un saggio di scavo presso la Torre di San Vittorio:

“In un terreno sito presso la torre spagnola (N.d.S. - Boh!) di San Vittorio, sono stati individuati e posti parzialmente in luce i resti affioranti di un edifizio di età fenicio-punico, nel quale deve con ogni probabilità riconoscersi il tempio di Baalshamem, noto attraverso una epigrafe punica di Cagliari. Attorno ad un ambiente maggiore, misurante circa metri 26 x 14, vi sono i resti di ambienti minori che occupano un’area abbastanza vasta. I muri, ridotti allo zoccolo di base, sono costruiti con piccole pietre, e solo saltuariamente consolidati, intercalandovi grossi blocchi irregolari. In un terreno sito poche centinaia di metri più a Sud, sono stati individuati i resti di una probabile cinta muraria fenicio-punica, costruita a secco, con grandi blocchi irregolari”.

 

Nel 1983 ricerche della Soprintendenza Archeologica di Cagliari, curate dal Prof. Raimondo Zucca, consentirono:

l’individuazione di una struttura in blocchi squadrati di ignimbrite riolitica sottostante la pavimentazione della chiesetta antica di San Pietro. Nell’ambito dei lavori di restauro si individuò in connessione con la struttura, senza poterne valutare il rapporto stratigrafico, ceramica a vernice nera (campana A) e italo-megarese, che ci riportano ad un orizzonte di II – I secolo a.C.

Continua...

Fine seconda parte

 

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