A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Settima parte

Rassegna stampa nazionale

Articolo 32

[Giornale sconosciuto]
sabato 19 febbraio 1994

Ugo Freguia oggi a Rai Due ricorda il tragico naufragio del “Fusina” ventiquattro anni fa

L’unico superstite racconta

Il cargo affondò nel mare della Sardegna: morirono 18 persone

Mestre, 19 febbraio 1994

«Il mare lo vedo in televisione, non ci torno più nemmeno se mi pagano a peso d’oro». La storia è narrata dal Gazzettino del 3 febbraio 1970. A parlare è Ugo Freguia, lidense, unico superstite del naufragio del cargo veneziano “Fusina”, avvenuto al largo di Capo Sandalo, in Sardegna, la sera del 18 gennaio 1970. Oggi è il 19 febbraio 1994. Ed è Ugo Freguia, oggi mestrino, ad andare in televisione. E’ stato contattato dalla trasmissione condotta da Alessandro Cecchi Paone, che dà il “buongiorno” alle famiglie italiane dagli studi di Rai Due. Sono passati ventiquattro anni, Ugo Freguia, ha rotto qualsiasi legame con il mare. Abita con la moglie e i figli in un appartamento in via Camporese, al Peep Bissuola, e lavora all’agenzia marittima “Adriatica” dal 1971, dopo aver trascorso un anno a casa per infortunio. Questa mattina, tra le 8 e le 8,30, con l’aiuto dei giornali e dei filmati dell’epoca, Ugo Freguia, ricorderà ancora una volta quella notte d’inferno. Ricorderà i suoi 18 compagni che il mare sardo ha strappato alla vita, l’immagine della morte che gli è apparsa in mezzo alle onde, ricorderà le aule del tribunale, il riconoscimento dei cadaveri, la disperazione dei parenti, la sua difficoltà a ricominciare da capo. «Avevo 28 anni, e lavoravo come cameriere di bordo sulle piccole navi mercantili della compagnia Sana di Mestre. Facevamo avanti e indietro tra Porto Marghera e Porto Vesme, vicino a Cagliari, per trasportare carichi di blenda, un minerale dal quale le industrie Sava di Marghera ricavano il piombo. Il 16 gennaio 1970 era il mio terzo viaggio. C’era un mare bestiale – racconta Ugo Freguia – pioveva da una settimana, ma il comandante insistette per partire, diceva che eravamo in ritardo. Partimmo, e appena oltrepassammo l’isolotto di San Pietro, a circa 5 miglia dalla costa, il carico di una stiva sbandò e la nave iniziò ad affondare. Salimmo tutti a poppa, mi avvisò il cuoco, che fu trovato dopo alcune settimane nello stretto di Messina. Le scialuppe se le portò via il mare, io mi buttai ed iniziai a nuotare. Sono stato in acqua per almeno sei ore, rigettando di continuo, ed è stata la mia salvezza. Raggiunsi l’isolotto, mi arrampicai sugli scogli e mi rifugiai in uno chalet. Non c’era nessuno in giro, mi sembrava di essere sulla luna, e solo due giorni dopo, riuscii a recuperare un po’ di forze e a raggiungere la casa di un pastore, che mi accompagnò in Capitaneria. Nessuno sapeva nulla di ciò che era successo». Poi il riconoscimento dei cadaveri, il processo e tutto il resto. Ugo Freguia non ha ricevuto nemmeno una lira di risarcimento, gli «basta aver portato la pellaccia a casa».

F.C.

 

 

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Fine settima parte - Articolo 32

 

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