A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Sesta parte

Rassegna stampa regionale veneta

Articolo 16a

IL GAZZETTINO DI VENEZIA
venerdì 23 gennaio 1970

Gli elementi emersi sul naufragio in Sardegna

Sbandò subito il Fusina per il carico “bagnato”
Troppi i lati oscuri sulle cause della sciagura e sulle operazioni di soccorso

Venezia, 22 gennaio

A sei giorni dal naufragio del “Fusina” nelle acque di Capo Sandalo a poche miglia dallo scalo di Porto Vesme, nell’attesa dei risultati delle inchieste promosse dalle autorità marittime sarde e dalla Magistratura, si può tentare una ricostruzione del naufragio sulla base degli elementi fino ad ora emersi.

La ricostruzione deve sottolineare i due aspetti distinti del sinistro: da un lato l’affondamento di un mercantile veneziano carico di blenda, dall’altro l’incredibile ritardo con cui si è messa in moto l’organizzazione dei soccorsi, utile soltanto – purtroppo – a strappare al mare le salme dei diciotto naufraghi.

Nel tentativo di ricostruzione dell’affondamento, occorre tener conto di alcune circostanze principali, emerse a Carloforte.

  • Risulta che il minerale caricato a bordo del “Fusina” (il metodo detto “a cumulo”), di recentissima estrazione, denunciava una presenza di umidità elevatissima.
    Gente di Porto Vesme parlava ieri di una percentuale di umidità del 25 per cento.
    Da notare che l’umidità massima della blenda, perché si possa assicurare stabilità del carico, non dovrebbe superare l’8 per cento.
     
  • Risulta, ancora, che il “Fusina” fin dall’uscita da Porto Vesme, denunciava una preoccupante inclinazione dello scafo.
    Lo ha raccontato il “pilota” che, come vogliono i regolamenti, ha condotto la nave fuori dallo scalo sardo.
    Il Comandante Giannini, di Porto Vesme, ha raccontato a gente del luogo di aver sconsigliato gli uomini del “Fusina” a prendere il mare con il carico in quelle condizioni, in considerazioni delle condizioni meteorologiche.
     
  • Risulta, infine – lo hanno riferito i parenti dei naufraghi, quando ancora non conoscevano la sorte dei loro congiunti e potevano sperare nel loro salvataggio – che almeno in un’altra circostanza (il penultimo viaggio del “cargo” da Porto Vesme a Marghera) il “Fusina”, carico di blenda, aveva corso il rischio di affondare, a causa del carico mal disposto e nella burrasca nella quale era incappato, pressappoco nella stessa zona in cui venerdì scorso è avvenuto il naufragio.
     
  • Il «Registro Navale Italiano» aveva controllato le condizioni strutturali (agosto) e l’apparato motore (dicembre) del mercantile della «Sana» e nulla era emerso che giustificasse il timore di un naufragio dovuto a cause attinenti la nave.
    I tecnici hanno espresso il parere che la nave, caricata secondo le norme della “sicurezza massima”, non avrebbe dovuto affondare, anche con il mare grosso.
    Gli stessi tecnici ritengono che anche una collisione con uno scoglio non dovrebbe aver provocato un disastro di quella portata.
     
  • L’equipaggio del “Fusina” poteva anche non conoscere perfettamente la nave, la risposta del bastimento, cioè, alle spinte, alle sollecitazioni determinate dalle condizioni del mare e dalle particolarità della rotta.
    Il veterano di bordo era il marinaio Giuseppe De Gennaro, imbarcato il 25 marzo del 69.
    Il Comandante, Mario Catena, pur essendo un esperto navigatore, era sul “Fusina” soltanto dal 30 settembre.
    Giovanni Nordio, il telegrafista, s’era imbarcato sul “cargo” naufragato, soltanto il 2 dicembre.
    Il marinaio Domenico Bonaldo era salito a bordo cinque giorni più tardi.
    Felice Spanio si era imbarcato addirittura il 29 di dicembre.
    Gli altri imbarchi sul “Fusina” erano avvenuti fra settembre e novembre.

Cerchiamo ora di analizzare la seconda questione. Il mancato soccorso al “Fusina” ed al suo equipaggio.

Cerchiamo di capire il mistero di un “Sos” che nessuno ha udito.

Le tesi, a questo proposito, sono due: o la chiamata di soccorso non è mai stata trasmessa, oppure, l’appello è stato lanciato, ma un errore nell’uso degli apparati della stazione “RT” ne ha impedito la diffusione attraverso l’etere.

Il discorso che è stato fatto lunedì sulla presenza di un “cono d’ombra” nella zona di Porto Vesme e Carloforte, che impedisce la ricezione dei radiomessaggi, non è di importanza rilevante.

La chiamata, infatti, avrebbe dovuto essere comunque ricevuta da stazioni di ascolto più lontane.

Avrebbe dovuto, inoltre, essere captata da altri mercantili in navigazione.

Dopo il “Fusina” la sera di venerdì da Porto Vesme è partito un altro mercantile.

Al momento del naufragio del “cargo” veneziano, le due navi non potevano essere lontane l’una dall’altra più di dieci-venti miglia; una distanza irrisoria per gli apparati di bordo (sia quelli di uso normale, sia quelli di emergenza) che hanno una portata che supera le 250 miglia tranquillamente, arrivando sino a 500 miglia.

Da notare che l’ora del naufragio del “Fusina” coincide con la “fascia d’ascolto” normale a bordo di qualsiasi unità in navigazione: fra le 20 e le 23, ora di Greenwich.

A contraddire la tesi secondo la quale lo “Sos” non sarebbe mai stato trasmesso da bordo del “Fusina” c’è il racconto dell’unico superstite, il cameriere Ugo Freguja, imbarcato sul mercantile affondato, il 29 novembre scorso.

Freguja ha ripetutamente affermato che l’appello di soccorso è stato lanciato.

Il cameriere di bordo ha anche riferito che il “Fusina”, mentre lui arrancava disperatamente fra le onde per raggiungere a nuoto le coste, si è inabissato «con tutte le luci accese».

Ciò significa che l’appello di soccorso lo si poteva trasmettere con l’apparato principale (il più potente), alimentato dalla normale corrente di bordo, i cui generatori si trovavano in sala macchine.

Se, nonostante lo choc e la possibilità di macroscopici equivoci, determinata dalla drammaticità dei momenti che il Freguja stava vivendo, si accetta l’ipotesi che il cameriere abbia ragione, non resta che una spiegazione del misterioso «silenzio radio» intorno al “Fusina” che si inabissava: l’uso errato di qualche apparecchio.

Questi che abbiamo sommariamente illustrati sono i dati, sulla vicenda del “Fusina” emersi fino ad ora.

Sono le valutazioni degli esperti che hanno tentato di esaminare da ogni punto di vista il problema di un affondamento così rapido e tragico.

Il discorso non vuol certamente essere una anticipazione sui risultati delle inchieste, giudiziarie e tecniche, appena incominciate e destinate a protrarsi per lungo tempo.

Quelle che abbiamo riferite, comunque, sono le sole interpretazioni attendibili e i soli indizi validi oggi a disposizione, per tentare di chiarire il mistero del “Fusina”.

Nel primo pomeriggio di oggi, intanto, è giunta a Venezia la salma del Direttore di macchina del “Fusina”, Giorgio Renier, di 32 anni, che si era imbarcato il 26 novembre.

Due fratelli dell’ufficiale – che era in attesa di un impiego presso l’azienda comunale di navigazione lagunare – erano partiti per Cagliari domenica notte.

Da Carloforte, dove aveva ricevuto le prime onoranze funebri, la salma era stata trasportata in furgone a Porto Torres. Il furgone era stato imbarcato su una nave traghetto ed aveva ripreso il viaggio, via terra, da Genova.

I funerali, presente il sindaco, si svolgeranno domani nella chiesa di S. Francesco, nel popolarissimo sestiere di Castello.

Gianpiero Rizzon

Continua...

Fine sesta parte - Articolo 16a

 

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