A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

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La tragedia del Fusina

Sesta parte

Rassegna stampa regionale veneta

Articolo 10

IL GAZZETTINO DI VENEZIA
mercoledì 21 gennaio 1970
- Prima pagina -

Secondo articolo in basso alla prima pagina, su 6 colonne

«NO COMMENT» del Dirigente della Società Armatrice della «FUSINA»
I familiari dei marinai morti vogliono sapere

Chioggia, 20 gennaio

«Capitaneria Cagliari informaci Fusina affondata; manchiamo notizie equipaggio – Navigazione» quando la signora Eugenia Dall’Acqua ha letto queste tre righe tutte maiuscole, è subito svenuta sulla porta di casa dove si trovava.

Il telegramma era un «urgente» indirizzato a suo marito Felice Spanio: al fattorino che glielo aveva recapitato la signora Spanio aveva consegnato cento lire di mancia.

Erano le dieci e mezzo di lunedì; già da diciotto ore si era cominciato a sapere qualcosa di quanto era accaduto a poca distanza dalle coste della Sardegna, e già questo qualcosa era stato riferito dalla televisione e dai giornali.

Ma la signora Spanio non aveva letto i giornali e in casa la televisione non ce l’ha.

Ieri mattina, poi, non era ancora uscita per la spesa, ed era rimasta così indenne anche dalle discussioni che chioggiotti stupiti ed angosciati intavolavano davanti ad ogni caffé, attorno ad ogni edicola.

Anche la signora Aurelia Tiozzo non aveva letto i giornali e non era uscita di casa; lo «choc» brutale del telegramma glielo ha risparmiato il cronista, che la signora aveva sulle prime scambiato per un funzionario della compagnia, giunto ad annunciare l’imminente ritorno del marito.

« E di questo telegramma che devo farne? Aprirlo? Portarlo alla compagnia perché lo telefonino sulla nave?».

- Lasci stare: se ne occuperà suo marito che sta per ritornare.

Suo marito è il secondo ufficiale Giordano Voltolina.

Che non sarebbe tornato la signora Voltolina l’ha saputo per la strada: abita vicinissimo alla famiglia del radiotelegrafista Giovanni Nordio e ai genitori del ragazzo aveva chiesto le «novità»: le ha immaginate dalle lacrime e dai singhiozzi, prima ancora di apprenderle dalle frasi smozzicate.

«Ma mi dica lei: è questo il modo? Un telegramma?»

Lo chiede Monsignor Luigi Frizzero, parroco di San Giacomo che, non appena saputo, ha visitato le famiglie dei suoi parrocchiani.

E c’è chi dice: «Mia sorella, la moglie di Domenico Bonaldo, ha letto, e si è messa letteralmente a urlare.

Per fortuna non era sola in casa.

Ma un telegramma così freddo, burocratico, senza una parola di troppo, nemmeno i saluti! Sembra quasi un capolavoro di risparmio».

- Scusi, comandante Mario Borsani, lei che è un dirigente della «Sana», pensa proprio che non fosse possibile dire a tutta questa gente in una maniera un poco meno disumana che qualche volta dal mare non si ritorna?

«Giudichi lei: noi abbiamo marinai a Venezia, a Chioggia, a Trieste, a Molfetta. Noi non siamo una compagnia importante, con tanti funzionari».

- D’accordo: anche a Molfetta; ma forse non era tanto difficile mandare qualcuno a Chioggia, dove le famiglie colpite sono sei.

«Siamo in pochi, non abbiamo molto tempo. Ma da Mestre a Chioggia sono quaranta chilometri, un’ora e mezza d’automobile tra andare e tornare. Non ho nulla da dire».

Abbastanza da dire, magari sottovoce, hanno invece i parenti dei dispersi e delle vittime:

«Dal Fusina mio nipote era sbarcato una volta con le mani gonfie e piagate; aveva detto che c’era sempre moltissimo lavoro da fare per aggiustare gli impianti».

«Mio marito mi aveva raccontato che il viaggio precedente due marinai si erano ubriacati, gli avevano perfino fatto paura. Mi ha detto che poi erano stati sbarcati d’autorità».

«Mio fratello, Domenico Bonaldo, non voleva più fare questa vita; era francamente stufo. Aveva provato a cambiare lavoro e si era ritrovato manovale a Marghera. Ma gli scioperi e l’abbonamento della corriera gli dimezzavano quasi lo stipendio già scarso. E poi non gli restava tempo per salutare i suoi figli. Voleva a tutti i costi una bambina: dopo tre maschi gli era finalmente nata. Un anno fa; nemmeno».

- Comandante Borsani, scusi: sono tutte vere queste faccende di persone che non volevano più navigare, di uomini di mare che cercavano di trasformarsi in manovali pur di finirla con questa vita?

E sono vere queste faccende delle navi tagliuzzate dai «rattoppi» eseguiti a bordo?

Come mai più d’una famiglia aveva sentito dire che per il «Fusina» era stato questo l’ultimo viaggio con la società abruzzese di navigazione?

«No la nave non era mai stata venduta. L’avevamo acquistata due anni fa. E l’avevamo fatta revisionare in bacino. Ma poi non voglio parlare: tutti hanno qualcosa da dire, da mormorare. Anche cose non vere. No: non dichiaro più nulla».

- Scusi, comandante: questa società «Abruzzese» con sede a Mestre, come mai si chiama così?
Lei per caso è abruzzese?

«No: è una società che esiste da tanti anni, forse trenta. Cambiano gli uomini, ma rimane il nome».

Forse potrebbe interessare la signora Spanio, e la signora Voltolina: gli uomini di mare sono di poche parole, anche in famiglia; il lavoro spesso se lo dimenticano a bordo, quando sbarcano, e quasi mai gli lasciano varcare la porta di casa loro.

Qualche raro accenno a piccole difficoltà ha fatto impensierire «dopo» più di un congiunto : «Parlava tanto poco del lavoro, tanto raramente».

«Almeno rivederlo; almeno che lo portassero qui. Non spero altro, ormai: non c’è altra strada» dice la moglie di Felice Spanio. E sua madre, una donna anziana scrolla il capo: «Finchè si è adulti, tutti ci si arrangia in qualche modo. Ma i bambini No. Si erano sposati dieci anni fa, e Antonella ha soltanto cinque anni e mezzo».

Poi continua in un tono meno angosciato, questa vecchia signora: «Ma forse sono tutti su un’isola, forse non possono scrivere. Magari ce lo vedremo tornare a casa».

E nessuno le risponde.

Fabio Isman

Continua...

Fine sesta parte - Articolo 10

 

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