Le vostre opere scrittorie sulla stupenda Isola di San Pietro e la sua pittoresca Carloforte

     

 

 
 

La rubrica che da vita e colore ai vostri pensieri

Le vostre opere scrittorie sulla stupenda Isola di San Pietro e la sua pittoresca Carloforte

   
Déjà vu

di Giorgio Ferraro Battantier

 

Brilla il tuo sguardo simile a una stella,
a cui s'inchina ogni intelletto umano. ...
... Cerco il tuo amor che plasma e che risana
questa mia piaga che a lungo mi strazia
O bella, o cara, del mio cor sovrana.

Da: "Alla sovrana del mio cuore", di Alfredo Napoleone

Il sole splendeva nel ciclo limpido. L'acqua del mare quel mattino riluceva d'un grigio argenteo, con movimenti appena percettibili. L'aria era frizzantina come spesso lo è in pieno inverno, ma i raggi del sole non le permettevan d'esser pungente. Chi si trovava per strada provava quella sensazione di piacere che si prova unicamente quando la natura si dimostra amica, avvolgendoci piacevolmente con i suoi colori, i suoi profumi e i suoi suoni.

Coloro che vivono in un paese sul mare conoscon bene queste sensazioni; ma ogni volta che il tempo è benevolo, il piacere d'esser vivi e di percepire il mondo si riassapora come fosse la prima volta.

I gruppi di ragazzi e ragazze erano sparsi per tutta la grande piazza di Carloforte e le risa, le grida e il rumore dei loro passi veloci si fondevano in un'unica sensazione di festa.

Come ogni diciassette di gennaio, l'isola festeggiava l'arrivo del Carnevale.

Tutte le vie del paese eran percorse dai giovani che passavano da una bottega all'altra, carichi di buste piene di provviste; le provviste che di li a qualche ora si sarebbero trasformate in un tradizionale pranzo rurale.

— Hai comprato il vino? — chiedeva uno.
— No, ne portiamo un po' di quello di proprietà, che è migliore — rispondeva un altro.

In un'altra via, un gruppo di ragazze euforiche correva, dopo aver incontrato gli amici che avevan loro promesso di andarle a trovare non appena finito di pranzare.

Poche traverse più in là, un gruppetto discuteva animatamente:

— Avevi detto che saremmo andati nella tua baracca a Calalunga!
— Cosa vuoi che ti dica, se ci deve andare mio padre che ha da fare nella vigna?
— Forse possiamo andare da me allo Spalmatore — aggiungeva un terzo.

Ma quella discussione sarebbe di li a poco scemata e tutto si sarebbe risolto, lasciando il posto all'allegria.

Il luogo più affollato del paese era la piazza, come in tutte le occasioni. Alcuni eran seduti sulle panchine del lungomare; altri s'incanalavano nel corso, fino ad arrivare alla piazza dai quattro "sedili rotondi", all’interno di ciascuno dei quali si erge un maestoso albero ombroso, dalle lunghe ramificazioni; quasi fossero lì per osservare i movimenti umani nel lento ed inesorabile fluire del tempo.

Quante festività, quanti sentimenti e quanti problemi avevan lambito le loro foglie nel corso degli anni.

Sotto la loro ombra, seduti sui freddi sedili in ferro un po' contorti, alcuni vecchi contemplavano tanta, festa; chi appoggiato al bastone, chi chiacchierando del più e del meno, chi osservando compiacente le forme aggraziate di una giovane che passava.

Un "can da maina" (come vengono chiamati i cani che bazzicano la marina) passava scodinzolante, con filosofica indifferenza.

Franco passeggiava con gli amici, Bastiano usciva dalla sala del biliardo. Antonio entrava dal tabaccaio per comprare le sigarette.

Renzo usciva dalla biglietteria e si dirigeva verso il traghetto in partenza per l'isola madre. Altri, che per una ragione o per l'altra, non partecipavano ai preparativi per la scampagnata, ne erano spettatori, ma anche costoro vi avevano partecipato molte altre volte, in precedenza.

Uno di questi spettatori, Franco, era colpito in modo particolare dalla festa intorno.

I lineamenti del volto dolci e regolari, contrastati da qualche capello bianco e qualche ruga, non rendevano facile indovinarne l’età. Ad ogni modo, era evidente che da tempo non era più un ragazzo.

La morte precoce della moglie, avvenuta pochi anni prima, l'aveva segnato non poco. La solitudine che aveva dovuto imparare ad accettare ne aveva modificato il carattere, un tempo gioviale ed esuberante, ora pacato e malinconico.

Con due amici, egli stava percorrendo il corso discorrendo di quegli argomenti di cui spesso si fa uso quando ciò che conta non è quel che si dice, ma è fare una passeggiata in compagnia di qualcuno.

Una chitarra intonava dei semplici accordi e le parole che li accompagnavano perdevan il loro significato esplicito e parevan dire:

— Siamo noi. Siamo qui. Ci vedete?

Franco si sentiva ferito da tutta quella vitalità, come da qualche tempo nulla l'aveva ferito. Troppe volte aveva partecipato anche lui a questa festa assieme a Rosa per potervi passare affianco senza che i ricordi riaffiorassero dolorosamente nella loro irripetibile bellezza.

Annuiva mentre gli amici parlavano. La chitarra, non lontana continuava a suonare. I rumori, i colori dei ragazzi e tutto lo riportavano indietro ad un passato che oramai solo al passato appartenere poteva.

Con gli altri era giunto in prossimità dei sedili rotondi. Vide una ragazza venirgli incontro sorridente. Si sentì caldo in viso e si fermò. Davanti a se Rosa gli veniva incontro sorridendo.

Fu un attimo.

La ragazza gli passo affianco ignara dell’emozione che aveva suscitato in lui.

Gli amici si accorsero che qualcosa era successo e, prima che di potergli chiedere se ci fosse qualche problema, Franco disse loro che voleva riposarsi un poco su di un sedile e che li avrebbe raggiunti dopo poco.

Seduto nella piazzetta, seguì con lo sguardo la ragazza che si allontanava e ripensò al momento in cui la sua immagine si era tramutata ai suoi occhi in quella di Rosa.

Ed ecco che Rosa gli dava la mano e insieme agli altri amici camminavano lungo la salita che conduce al campo sportivo, per poi proseguire verso Guardia dei Mori e poi ancora fino a Punta delle Oche.

La chitarra suonava e tutti in coro cantavano:

— Giobelà, fratelà, l'è u dissette de zenà.

Lentamente si lasciavano alle spalle il Canale del Generale, al di sotto dei ripidi tornanti che la strada faceva sul finire della rampicata.

La casa di campagna di Carlo li attendeva a Guardia dei Mori per essere invasa dalla loro esultanza e dalle loro risa.

Fu una giornata indimenticabile. Lei era seduta al suo fianco a tavola e il suo sguardo d'intesa, deciso e dolce sarebbe bastato da solo a riempire tutta la casa anche nella solitudine.

Uno degli amici si apprestò, posandogli una mano sulla spalla:

— Noi andiamo a casa. Tu che fai?
Tornò in se.
— Si. Vado anch'io — rispose un po' confuso.

I gruppi di ragazzi stavan lasciando il paese incamminandosi ciascuno per la propria strada.

Separatosi dagli amici, Franco si diresse verso casa.

Davanti a lui, uno degli ultimi gruppi di giovani ancora in giro si avviava ad uscire dal paese, voltando in Salita Santa Cristina, quella che conduce a Guardia dei Mori, la stessa…

Con un lieve sorriso nostalgico sul volto, Franco li seguì con lo sguardo fino a quando, giunti ai piedi delle scale del Castello, voltarono.

Poi alzò lo sguardo verso il balcone della casa che gli stava di fronte, si voltò e riprese la strada verso casa.

Il paese era silenzio.

15 ottobre 1988


 

 

 

 


[Torna ad inizio pagina]


Per scrivere alla redazione di "Il messaggio nella bottiglia" clicca... nella bottiglia

 
     

Dal 06.09.2001

 
       

 

 

 

   

Inviare al Webmaster una e-mail con domande o commenti su questo sito web