Le vostre opere scrittorie sulla stupenda Isola di San Pietro e la sua pittoresca Carloforte

     

 

 
 

La rubrica che da vita e colore ai vostri pensieri

Le vostre opere scrittorie sulla stupenda Isola di San Pietro e la sua pittoresca Carloforte

   

La Parigina

Da un'e-mail di Maurizio Vallebona, inviata il 25.06.2003, nella nostra Mailing List dei "Carlofortini nel mondo"

 

 Premessa:

La tastiera del mio PC è impazzita di colpo ed è uscito questo piccolo racconto semiserio.

Era chiaro nella mia mente, come una foto di quelle ad alta definizione, con tutti gli oggetti perfettamente a fuoco.

È uscito di getto, senza controllo, spero vi piacerà...

Fra tutti i ricordi che non svaniscono, nella mia infanzia, ne ho uno in particolare legato a Carloforte.

È un ricordo forte, nitido perché legato a sensazioni oltre che visive anche olfattive e uditive.
È un ricordo della mia esistenza che mi porto dietro come una cosa preziosa e che metto insieme a tutti quei ricordi, che mi fanno essere riconoscente, per la infanzia meravigliosa che ho avuto il privilegio di vivere, almeno per una buona parte, a Carloforte.

Ogni tanto - ahimè - anche a Carloforte, a mio nonno toccava trascinarmi dal dentista, ero un ragazzino tranquillo e curioso, ma forse un po' più fifone della media per quanto riguardava le "cose" dentistiche.

Fatto sta che nella lotta antecedente all'appuntamento con il dentista l'unica arma dei nonni nei confronti di questo nipotino cittadino e un po' fifone, era la solita promessa "del gelato".

Forse alcuni dei miei amici se lo ricordano ancora il dentista che stava nel palazzo sulla marina, su al terzo piano, sopra alla gelateria che allora chiamavamo "da Luxoro".

Fatto sta che "u neu du Albino" si trascinava come un condannato a morte fino al terzo piano, alla maledetta e dolorosa poltrona dove, soffrendo orribilmente, cercava di portare a compimento il "comportarsi bene" promesso ai nonni, in cambio, per l'appunto del gelato...

Finito l'atto doloroso e ottenuto il permesso di sgattaiolare dalla poltrona, i tre piani di scale a scendere venivano "bruciati" a grande velocità e la corsa apparentemente inarrestabile di questo "figgettu burdellusu" si abbatteva su una delle sedie in ferro della gelateria Luxoro, pronto, come sempre, a fare scempio e rovina di quello, che almeno per me, per anni è stata la massima espressione del sapere gelatesco.

 

LA PARIGINA!!!

 

Questo è stato vero almeno fino alla scoperta di un altro sommo capitolo dell'era gelatiana carlofortina, il "Mangia e bevi", ma questa era già storia moderna.

La Parigina invece era un grande classico.

Se sapessi dipingere, ancora oggi potrei fare un quadro per ognuno dei passi necessari al completamento di questa opera gelatistica di prima grandezza.

Per prima cosa Luxoro prendeva quel bicchiere strano, un po' svasato in alto come un fiore che si apre, la cui forma ricordava infatti una specie di begonia con i suoi petali grandi che si assommavano formando una coppa che si svasava in alto.

Dopo, apriva uno di quei coperchi rotondi in inox che stavano sul grosso bancone liscio, uno sopra a ogni gusto e, con la paletta piatta, cominciava a mettere i gusti richiesti "schiacciandoli" in modo che il bicchiere non avesse al suo interno spazi vuoti, affinchè il gelato aderisse perfettamente all'interno del bicchiere.
Si mettevano al massimo due o tre gusti, non di più.

Il bancone era in inox, molto lungo con tanti coperchi uguali, e il gelato li non lo vedevi, semplicemente ne percepivi la presenza dal freddo intenso che emanava dall'inox del bancone.

Mai, per un momento, dubitai della presenza del gelato in quel bancone. E ciò che più me ne dava la certezza, era quelle specie di periscopio enorme con una paletta al fondo che muoveva "l'onda" di gelato mentre lo raffreddava dentro al suo cilindro in inox che ruotava spinto da quel motore alto ed imponente.

Poi da un apposito cassettino diverso dagli altri prendeva la "panna" che con una specie di spatola di ferro, diversa da quella del gelato, spalmava.

Ne faceva uno strato fine, che serviva solo a coprire la superficie del gelato che emergeva dal bicchiere, in modo da fare sembrare quella montagnola in cima al bicchiere, un piccolissimo "Monte Bianco" di panna.

Dopo questo, Luxoro, si girava indietro dando la schiena ai clienti e con un lungo mestolino, che aveva una forma a semi-uovo con un piccolo beccuccio dal lato più lungo, andava a pescare dentro a quel vaso bianco con tutte le colorazioni blu simil-cinesi, che conteneva le amarene sciroppate della Fabbri. Ne prendeva una, due, forse tre, se erano piccole ed eri molto fortunato, e le appoggiava in cima alla montagnola di panna.

Una volta appoggiate e pressate, per essere sicuro che restassero in cima, il mestolino riscendeva nel vaso per pescare un po' di liquido rosso sciroppato che veniva a cadere formando uno o più piccoli rivoletti rossi che scendevano in mezzo alla panna fino al bordo del bicchiere...

Di solito, a quel punto, il pezzo di vetro davanti a "u neu du Albino" si era già appannato e vedendo che le operazioni di "montaggio" erano gia concluse, l'omettino, sopravvissuto alle terribili e dolorose necessità dentistiche, correva alla sedia dove c'era il nonno con l'immancabile bicchiere di panachè e la Lilly seduta di fianco che aspettava che "cadesse" qualcosa.

Il bicchiere con la parigina arrivava sul tavolo e veniva servito sul piattino con un tondino di carta sotto, rotondo e con un buco in mezzo che andava a incastrarsi tra la parte finale di appoggio del bicchiere, una specie di tondo con una piccola sfera sopra e la parte che conteneva il gelato.

Il cucchiaino, rigorosamente di forma quadrata, molto fine ed elegante, spesso arrivava a parte in un piccolo bicchiere con dell'acqua, specialmente se c'era più di una o due parigine. Con solo una parigina arrivava sdraiato nel piattino...

A quel punto iniziava un lavoro certosino che, consisteva nello "smontare" la parigina in modo scientifico, cominciando immediatamente dalle amarene (amarene, non ciliege...) e proseguendo con la asportazione dello strato di panna che conteneva lo sciroppo delle amarene.

Io usavo al massimo il lato anteriore del quadrato del cucchiaino, quello opposto al lato del manico, perchè usando questa "lama" dritta, potevo asportare la panna pulendo lo strato inferiore di gelato che compariva... la bravura massima era togliere la panna senza fare mischiare la superfice alta dei diversi tipi di gelato che conservava la sua posizione, rimanendo netta e ben distinta.

Mi ricordo che spesso, mentre "operavo" sulla panna, mi arrivava all'orecchio il suono del trapano del dentista al terzo piano che "curava" il cliente successivo... suono sinistro sicuramente e fastidioso assai, ma ormai, nell'immediato, il pericolo era scampato e quindo con la Parigina davanti, sembrava molto, ma molto meno fastidioso del solito.

 

Come finisce questo racconto?

 

Esattamente come finiva la parigina, copiosa fino ad un certo punto, pronta a regalarti gusto e frescura e poi immancabilmente e dolorosamente di colpo... era finita! Non ne avevi più! E allora speravi nelle ultime sorsate di quel liquido fresco, che altro non era che il fondo del gelato che aspiravi quasi a succhiarti il bicchiere fino all'ultima goccia...

E poi, dopo l'ultima goccia di gelato, almeno per diversi anni, seguiva sempre - irrimediabilmete - la sberla di mio nonno sul capoccio ostinato del nipote che continua a cercare l'acqua dove fino ad un attimo prima c'era depositato il cucchiaino...

Ne son passati di anni, ma il bambino dentro di me non dimenticherà mai la "Parigina" di Luxoro, e ancora oggi purtroppo, ho paura dei dentisti...


 

 

 

 


[Torna ad inizio pagina]


Per scrivere alla redazione di "Il messaggio nella bottiglia" clicca... nella bottiglia

 
     

Dal 06.09.2001

 
       

 

 

 

   

Inviare al Webmaster una e-mail con domande o commenti su questo sito web