Eventi di attualità di ieri e di oggi su Carloforte e l'Isola di San Pietro

    Carloforte, martedì 8 luglio 2003
 
 Risvolti storici della migrazione da Tabarca a San Pietro
 

Neo-sardi a Carloforte, un’epopea rivoluzionaria

Urla nella notte, terrore, violenza e deportazione in schiavitù: così 850 carlofortini rastrellati da pirati barbareschi finiscono a Tunisi in catene. È il settembre del 1798: l’inizio di un incubo durato ben cinque anni prima che gli esuli ritrovino la persa isola di San Pietro e riabbraccino i familiari, in un groviglio di trattative diplomatiche internazionali senza precedenti. Una matassa sbrogliata con l’intervento decisivo di Napoleone il grande.
Questo evento, che ha segnato per sempre la storia dei carlofortini, è ancora oggi sconosciuto ai più, e quel poco che se ne sa è avvolto nelle nebbie dell’agiografia. Ad approfondire e ricordare dopo oltre duecento anni, senza la paura di incorrere negli anatemi “revisionisti”, ci ha pensato un ottimo convegno storico organizzato dal Comune carlofortino e titolato semplicemente Settembre 1798-giugno 1803, cinque anni di schiavitù: dalla cattura alla liberazione.

Tanti gli spunti interessanti e stimolanti, a partire proprio dalla schiavitù, che non era prerogativa esclusiva di incursori tunisini. Infatti esistevano anche degli schiavi musulmani a Cagliari e dintorni. Lo storico Salvatore Bono argomenta: «Bisogna dire tutta la verità sulla schiavitù: allora anche noi avevamo i nostri schiavi, in tutta Europa, e ce li andavamo a prendere; da un punto di vista generale quel commercio era accettato e regolamentato». Dunque: siamo stati vittime e carnefici.

Ma forse il tema centrale del convegno ha riguardato il rapporto spesso rancoroso fra “sardi” e “carlofortini”: questi ultimi “non sardi” in senso stretto, visto che abitarono l’isola di San Pietro a partire dal 1738, emigrando dalla piccola isola di Tabarca e portando da queste parti bagaglio sconosciuto in costituzione fisica, tradizioni, usi e costumi, idioma (ligure) e soprattutto mentalità.

Da secoli la malaria e le incursioni barbaresche devastavano la Sardegna, portando le popolazioni a rifugiarsi verso l’interno, con una ritrosia naturale verso il mare e ogni attività a questo connesse. E non era raro il caso di chi, naufrago o incauto, fosse fatto prigioniero e portato via. I “tabarchini” erano invece da sempre avvezzi ai commerci, soprattutto via mare. Tanto che, mentre il vento della rivoluzione francese imperversava in Europa, accolsero fraternamente l’agitatore francese Buonarroti che cercava di esportare il verbo rivoluzionario.

Ma i carlofortini fecero anche di più: si dotarono della prima costituzione rivoluzionaria nel Mediterraneo. Francesi, notabili e popolani sancirono la loro amicizia ballando intorno a un albero ribattezzato “della libertà”, mentre in tutto il regno ci si preparava invece alla battaglia contro l’invasore. D’altro canto gli abitanti di San Pietro furono anche aiutati non poco dal governo Sabaudo, che vedeva in quell’infeudazione una vera e propria scommessa, peraltro vinta. Una stagione storica poco conosciuta, questa, che spiegata da Stefano Pira (Università di Cagliari) ha richiamato particolare attenzione fra gli argomenti del convegno.

Il rovescio della medaglia, in positivo, nel rapporto fra le due popolazioni fu che le diocesi sarde ebbero un ruolo determinante nel pagare l’esoso riscatto che il Bey (il governatore) di Tunisi esigeva come pratica usuale per risolvere i suoi guai finanziari. Uno sforzo imponente, tanto che più volte i responsabili dei vari Capitoli diocesani lamentarono l’eccessivo aggravio per il clero, stante una situazione tragica, dal punto di vista economico, degli inizio del 1800 (anni di terribili carestie). Non mancarono figure straordinarie come i padri Mercedari, il vescovo di Cagliari Diego Cadello e il padre trinitario Francesco Saverio Blasquez, dotato di uno zelo indiavolato. Per dirla con il relatore don Tonino Cabizzosu (teologo), a Tunisi il sacerdote «minacciò il Bey di ben due inferni: quello cristiano e quello mussulmano».

Intanto, i carlofortini facevano mille sforzi per mandare quanto necessario ai propri cari in cattività, e se la passavano davvero molto male, accomunati a tutta la Sardegna per l’endemica assenza di grano. In definitiva, forse aveva ragione il vicesindaco carlofortino, quando ha lanciato l’idea di fare di quei fatti un film. Gli ingredienti ci sono tutti.


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